Asana, la magia del corpo

Le asana, parola che in sanscrito vuol dire postura o posizione, sono la parte più visibile dell’Astangha Yoga descritto da Patanjali. Astangha è una parola che significa “8 arti, o membra” e indica le varie sfumature che compongono lo Yoga.

Yoga non significa esercizio fisico; è una parola che vuol dire “unirsi a”, unione con il Sé, con L’Atma. (1)

Nelle 8 suddivisioni descritte da Patanjali c’è appunto descritta questa unione, il Samadhi ma c’è anche l’indicazione di dover usare tutte le 8 membra affinché sia possibile compiere questo passo.

Quindi guardiamo cosa sono le Asana, che tanto spazio hanno ultimamente tra le pratiche considerate benefiche per il corpo e la mente. Patanjali descrive l’asana come “Sthira Sukhan Asanam”, comoda e mantenuta a lungo. Già questo ci può cominciare a far capire che, pur usando muscoli e articolazioni, le posizioni sono studiate per creare uno stato di benessere ed equilibrio nella quiete. Il respiro rimane calmo, profondo e ritmato per tutta la durata della pratica, salvo momenti particolari in cui cambia per motivi specifici, e questo è una costante di tutti i vari stili presenti al momento nel mondo.

Come lavorano le asana? Attraverso movimenti semplici e posizioni immobili tenute più a lungo andiamo a tonificare e rigenerare l’elasticità del sistema muscolo-scheletrico e circolatorio. Attraverso i movimenti e il respiro profondo tonifichiamo e ricarichiamo il sistema energetico e i suoi innumerevoli canali (i nadi) e punti di maggior scambio (i chackra). Abbiamo un effetto potente anche sul sistema nervoso tramite l’attivazione del parasimpatico, che ci porta tranquillità e concentrazione, e del sistema ormonale che ci mantiene in efficienza. Infine abbiamo l’opportunità di sviluppare concentrazione e chiarezza grazie all’interesse verso l’interno che caratterizza una buona lezione, interno di sè stessi come corpo e come parte sottile.

Imparare ad eseguire correttamente le asana, di solito organizzate in sequenze utili a rimuovere tutte le varie contratture e schemi che disturbano la meditazione o il rilassamento finali, vero scopo della lezione, è facile seguendo un corso o un video specializzato, ciò che ci farà capire se stiamo praticando bene è il nostro stato dopo la lezione: abbiamo energia, calma, minore chiacchierio mentale, sentiamo il corpo leggero e flessibile, e.... ci sentiamo felici! La gioia è una parte importante della pratica, ci indica che abbiamo toccato quella parte più profonda di noi che è sempre felice e sicura di sè: l’Ananada-Maya Kosha (2).
Non è la fine del viaggio, semmai è l’inizio!


Marjaryasana

Facciamo insieme una posizione che permette di tonificare organi e muscoli addominali, rendere elastica e rinforzare la colonna vertebrale, alleviare i dolori alla schiena e aumentare la potenza respiratoria. Il suo nome è Marjaryasana, posizione del gatto in italiano, e si esegue a terra appoggiando mani e ginocchia, come un tavolino a 4 gambe. Inizialmente si cerca la consapevolezza dell’orizzontalità della schiena, mani ben aperte appoggiate larghe come le spalle, ginocchia larghe come le anche, piedi allargati come le ginocchia, schiena attivamente allungata espandendo lo spazio dalla nuca al coccige, mento retratto, pancia ben tonica e leggermente retratta. Iniziamo espirando e ruotiamo il bacino per arrotondare la schiena verso l’alto, una vertebra dopo l’altra fino ad avere il mento appoggiato senza troppa tensione al petto e l’ombelico ben ritirato all’interno.

Ora i polmoni sono vuoti, e direttamente invertiamo il movimento: il bacino ruota gentilmente inarcando la schiena, il petto si apre, il viso si volge verso l’alto ma senza schiacciare eccessivamente la zona del collo. Il respiro è ampio e lento, stesso ritmo dell’espiro, e guida il movimento. La pancia rilassata, il cuore aperto a riempirsi di energia. Mentre le gambe sono facili da tenere correttamente, per le braccia che rimangono dritte per tutta l’asana il lavoro è più consapevole: inspirando, le mani appoggiano bene con le dita aperte e gli indici paralleli, i gomiti ruotano leggermente verso l’esterno e aiutano a stringere la zona delle scapole, le spalle sono tirate indietro ben lontane dalle orecchie attivando tutta la parte superiore del corpo.

Espirando, le braccia restano così e le spalle restano lontane dalle orecchie, ma mentre si crea la “gobba” l’attenzione è rivolta ad aprire la parte posteriore del cuore e della schiena media e bassa, portare gentilmente verso l’interno ombelico e parete addominale, ruotare bene il bacino per distendere bene la parte lombare della schiena. Gli occhi sono chiusi, o aperti a seguire il movimento: verso le ginocchia espirando, verso il cielo inspirando. Fate un movimento lento ed ascoltate ogni parte del corpo, che sia muscoli, organi, articolazioni, flusso energetico. Sentite il calore e la flessibilità che aumenta. Questo movimento si ripete da 3 a 10 volte circa, facendo attenzione a non fare mai scatti, né bloccarsi in una delle 2 fasi a lungo; a volte chi ha già una buona tonicità muscolare tende a volerlo rendere troppo estremo: praticate l’equilibrio tra il corpo, il respiro e la mente, nessuno dei 3 deve prevalere.

Quando abbiamo finito le ripetizioni possiamo riposare qualche istante semplicemente sedendoci sui talloni e lasciando appoggiare la fronte a terra, o sulle mani se non ci sentiamo perfettamente rilassate con la testa così in basso. Ascoltiamo la nostra schiena respirare libera e leggera, spalle, braccia e gambe rilassarsi completamente, lasciamo che gli ultimi pensieri scivolino leggermente a terra e ci lascino silenziose e attente alle benedizioni del momento presente.

Lo Yoga è gioia!
Laura Sabbadin
Insegnante di Yoga ed Educatrice ai Valori Umani

(1) Sathya Sai, Discorso 24 novembre 1998
(2) Secondo le Taittiriya Upanishad il nostro corpo è suddiviso in cinque parti:
L’ involucro grossolano, fatto di cibo: Anna-Maya Kosha, Taittiriya Upanishad, ch. 2.1
L’involucro energetico, fatto di energia: Prāna-Maya Kosha, Taittiriya Upanishad, ch. 2.2
L’involucro mentale, la mente: Mano-Maya Kosha, Taittiriya Upanishad, ch. 2.3
L’involucro dell’intelletto, l’intelletto: Vijnana-Maya Kosha, Taittiriya Upanishad, ch. 2.4
L’involucro della beatitudine, la beatitudine: Ananda-Maya Kosha, Taittiriya Upanishad, ch. 2.5

Laura Sabbadin

Educatrice

Sito web: www.saivivere.it