I Filosofi e gli Animali

Tra i molteplici filosofi che hanno costellato l’universo culturale d’occidente ve ne sono molti che hanno speso più di una parola per descrivere gli animali e le loro affinità con l’uomo. Tra i primi a difendere la sacralità degli animali fu Pitagora, nato a Samo verso il 570 a.C., contemporaneo di Zarathustra e di Siddharta Gautama Buddha. Pitagora affermava che l’anima è immortale e che trasmigra in altre specie di esseri viventi e quindi tutti gli esseri animati devono essere considerati della stessa natura.



La parola di Pitagora possedeva una forza di confutazione e d’esortazione che toccava persino gli esseri privi di parola. Si narra che egli sia riuscito ad addomesticare l’orsa Daunia, che affliggeva gravemente gli abitanti del posto. Dopo averla a lungo accarezzata e cibata di focacce e di frutta, le fece giurare che mai più avrebbe assalito un essere umano vivente e dopo la lasciò andare. Quella celermente si allontanò verso i monti e i boschi e da allora non fu più vista assalire esseri viventi, neanche un animale. Un’altra volta a Olimpia, mentre parlava ai suoi discepoli delle qualità degli uccelli, un’aquila volò su di lui, ed egli la fece scendere e dopo averla accarezzata, la rimandò via.

A coloro che tra i filosofi erano più dotati di capacità speculativa ed erano pervenuti alle vette supreme della contemplazione, proibiva assolutamente i cibi superflui e ingiustificati, raccomandando di non mangiare mai animali, né di bere assolutamente vino, né mai immolare agli dèi animali, rispettando le norme di giustizia anche nei loro confronti. Nella cerchia dei politici prescriveva ai legislatori di non cibarsi di animali: “Perché, volendo costoro praticare in sommo grado la giustizia non devono recare offesa a nessuno degli animali a noi affini”.

Come Pitagora anche Empedocle, medico e filosofo suo discepolo, affermava che non solo esiste una certa comunanza tra noi reciprocamente e con gli dèi, ma anche con gli animali privi di parola … “Esiste infatti un solo soffio che pervade l’intero universo a guisa di anima e che ci rende un’unica cosa con gli animali. Ragion per cui se uccidiamo gli animali e ci cibiamo delle loro carni commettiamo ingiustizia ed empietà, come se sopprimessimo i nostri congiunti”.

Aristotele, nato a Stagira nel 384 a.C. si sofferma sulle affinità e differenze caratteriali tra l’uomo e gli animali, affermando in sintesi quanto segue: “Gli animali presentano per quanto riguarda il carattere le seguenti differenze, alcuni sono miti, tranquilli e remissivi come il bue, altri collerici, ribelli e indomabili, come il cinghiale, altri ancora intelligenti e timidi, come il cervo e la lepre, altri vili e infidi come i serpenti; altri generosi, coraggiosi e nobili come il leone, altri selvatici e infidi come il lupo. Alcuni sono astuti e malvagi, altri appassionati, affettuosi e obbedienti come il cane, altri miti e facili da addomesticare, come l’elefante, altri paurosi e cauti come l’oca, altri infine gelosi e vanitosi come il pavone.

Soltanto l’uomo però, tra gli animali, ha la capacità di deliberare, ovvero discernere. Anche nella maggior parte degli animali è presente una traccia di quelle modalità psichiche che nell’uomo sono più manifestamente differenziate. In effetti, mansuetudine e selvatichezza, mitezza e aggressività, coraggio e viltà, paura e sicurezza, impetuosità e furberia e una certa capacità di comprensione intellettuale, presentano in molti animali delle similarità con l’uomo.

Il filosofo continua affermando che l’uomo è un essere socievole molto più di ogni ape e di ogni capo d’armento, egli è inoltre dotato di parola che è fatta per esprimere ciò che è giovevole e ciò che è nocivo e, di conseguenza, il giusto e l’ingiusto: “Questo è, infatti, proprio dell’uomo rispetto agli altri animali, di avere, egli solo, la percezione del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto e degli altri valori…”.

Mentre Aristotele si ferma a queste considerazioni senza entrare in profondità ma asserendo ancora la sudditanza dell’animale all’uomo, Lucrezio, poeta latino del 99 a.C. scrive nel suo “De rerum Natura” che gli animali si conoscono e si amano fra loro non meno che gli uomini, non solo anch’essi sognano e durante la notte rivivono le esperienze della giornata.

Celso, scrittore greco del II sec. d.C. confuta ai Cristiani l’idea che l’universo, comprese le specie animali che lo abitano, siano state create a servizio dell’uomo, afferma che le cose che vediamo nascono e periscono per il bene del tutto. L’universo è stato ordinato non in vista dell’armonia delle sue singole componenti, ma in vista dell’armonia universale, è di tale armonia che Dio ha cura.

Da questa breve dissertazione si evince come già 700 anni prima di Cristo, in occidente si iniziasse a riflettere sulla nobiltà e sacralità degli animali intesi come creature con un’anima, alla pari dell’uomo. Tale dibattito dura tutt’oggi con la variante che molti altri interventi di saggi e santi si sono succeduti e hanno arricchito le attuali opportunità di riflessione.

Insegnante ed Educatrice ai Valori Umani
Linda Colla

Gino Ditali, “I filosofi e gli animali” - L’animale buono da pensare - Agire Ora Edizioni, 2010

Redazione

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