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Le giuste parole - 2

Le giuste parole - 2

Cosa è necessario sapere per parlare in modo efficace e costruttivo con i nostri figli.

2^ Parte

La comunicazione con i nostri figli crea opportunità straordinarie per conoscerli e, al tempo stesso, per conoscere meglio noi stessi. Come ho detto nell’articolo precedente, noi cresciamo insieme a loro.

Spesso nella relazione con i nostri ragazzi siamo condizionati dalla preoccupazione di cosa possano fare quando sono lontani da casa, là dove non possiamo più raggiungerli e proteggerli come vorremmo (soprattutto durante l’età adolescenziale). I nostri timori, il più delle volte, riguardano i rischi che possono correre incontrando persone malintenzionate e cattive compagnie. Questo timore, al giorno d’oggi, si estende agli incontri che si possono fare sul web, e che possono essere ancora più pericolosi. 1 Purtroppo, la paura crea le peggiori condizioni di comunicazione. Spesso non siamo coscienti di trasmettere loro la nostra ansia, e di renderli, così, più insicuri e vulnerabili. Il più delle volte sottovalutiamo il fatto che stanno crescendo e che, probabilmente, sono più maturi di quanto non immaginiamo.

I nostri figli assorbono come delle spugne la nostra ansia, soprattutto se sono piccini. Così possono diventare irrequieti, silenziosi, o lamentare malesseri. Se sono più grandi, invece, riconoscono lo stato d’ansia dei genitori rivolto a loro e alle loro attività, sia a scuola che fuori, e, se non si riesce a comunicare in modo efficace ed empatico, possono chiudersi e costruire un vero e proprio muro. Così aumentano i conflitti e i motivi di recriminazioni e ribellioni.

Perciò comunicare con loro nel modo giusto è la cosa migliore che possiamo fare per conoscerli e tranquillizzarci.

Creiamo empatia. Ricordiamo quali erano i problemi che avevamo con i nostri genitori quando eravamo noi stessi adolescenti. Cerchiamo di metterci nei panni dei nostri ragazzi e ascoltiamoli non solo con le orecchie, ma con tutti noi stessi.

Secondo il filosofo cinese Chuang-Tsu la vera empatia si ha quando si ascolta con tutto il nostro essere:

Una cosa è quell’ascolto che sta solo nelle orecchie. Un’altra cosa è l’ascolto della comprensione. Ma l’ascolto dello spirito non è limitato ad alcuna facoltà, alle orecchie o alla mente. E quando le facoltà sono vuote, l’intero essere è in ascolto. Si coglie allora direttamente ciò che è proprio lì davanti a noi, che non potrà mai essere udito con l’orecchio né capito con la mente.

In questo sta la distinzione tra ciò che “udiamo” e ciò che “ascoltiamo”. “Ascoltare” è una competenza molto importante, richiede uno sforzo mentale, una “presenza” di tutto il nostro essere, mentre “udire” non implica alcuno sforzo, è un atteggiamento passivo.

Nell’ascolto empatico abbiamo sospeso ogni giudizio, ogni preclusione, non interrompiamo l’interlocutore, siamo interiormente liberi da emozioni che possano creare disturbo, come preoccupazione, paura, rabbia, ecc., diamo il tempo e lo spazio perché l’altro si esprima completamente. Si potrebbe dire che siamo totalmente “presenti” all’altra parte e a quello che sta provando. Infatti, l’aspetto più importante dell’empatia è proprio la “presenza”.

Allo stesso tempo, però, non possiamo venir meno al nostro ruolo di educatori. Nel comunicare con i nostri figli è necessario fare costante riferimento a quelli che sono i valori su cui abbiamo costruito la nostra vita insieme, che dovrebbero essere: il rispetto, l’onestà, la sincerità, la lealtà, la collaborazione, la condivisione. Tutti valori che fanno capo alla Verità, al Retto Agire, e soprattutto all’Amore. È buona regola, come si può facilmente intuire, che non si tratta unicamente di trasmettere questi valori a parole, ma prima di tutto col concreto esempio quotidiano.

Teniamo nel debito conto alcuni aspetti della comunicazione nei confronti dei nostri figli. In particolare:

Dare un comando può andare bene finché i nostri figli sono piccoli e non conoscono i pericoli, per esempio: “non sporgerti dal balcone, non toccare le prese di corrente”. Nei confronti di adolescenti, però, un comando può generare ribellione o frustrazione perché chi lo riceve può sentire che il genitore non lo comprende e non tiene conto delle sue esigenze. Se poi il comando diventa una minaccia (Es.: se non fai quello che ti dico ti punisco), le conseguenze possono essere o la ribellione o la sottomissione. Nessuna delle due può determinare crescita e consapevolezza nei nostri ragazzi.
È bene, perciò, concordare delle regole da seguire. Abbiamo davanti a noi dei futuri uomini e delle future donne. Cominciamo perciò a responsabilizzarli, a renderli consapevoli dei loro comportamenti. “Stipuliamo” con loro un “contratto”, stabilendo di comune accordo ciò che si può e ciò che non si può fare, mediando tra le loro e le nostre esigenze. Ovviamente questi accordi saranno modificati in base alla maturità da loro dimostrata e all’età.
Giudicare e criticare determina nel ragazzo una riduzione dell’autostima e può creare sensi di colpa e frustrazione. Può anche succedere che l’adolescente contrattacchi, criticando a sua volta il genitore.
Come non va bene esagerare la portata dei loro problemi, caricandoli di ansia ingiustificata, non è bene neanche minimizzare e sottovalutare i loro stati d’animo, soprattutto quando ci confidano qualche esperienza negativa. In tal caso possono sentire che non li ascoltiamo e non comprendiamo l’importanza delle loro confidenze, sentendosi sminuiti.
A volte possono sentirsi umiliati se noi li etichettiamo e generalizziamo, usando frasi fatte come ad es.: “Non ti fai rispettare, sei uno stupido… Voi giovani siete tutti superficiali, ecc.” Questo può portare a convincerli che è proprio così, riducendo la loro autostima.
Non è bene, altresì, fare complimenti esagerati, non corrispondenti alla realtà, poiché il nostro ragazzo può avvertire facilmente la falsità di ciò che diciamo. Anche in questo caso non si sentirà compreso e potrà chiudere la comunicazione con noi.
Tutto ciò che si è detto richiama alla necessità di essere consapevoli che di fronte abbiamo un essere umano in trasformazione, che non è un nostro prolungamento, ma un’entità unica e preziosa che viene da noi, ma è diversa da noi. Ciò che possiamo fare è amarlo e rispettarlo, se vogliamo che anche lui ci rispetti. Il rispetto è una medaglia a due facce: una attiva (il rispetto che dobbiamo all’altro) e l’altra passiva (il rispetto che l’altro deve a noi).

“Se rispetterete tutti, anche a voi sarà dato rispetto, ma se non avete rispetto per nessuno, nemmeno gli altri vi rispetteranno. Il rispetto non è una via a senso unico: ‘dà e ti sarà dato’, porta rispetto e riceverai rispetto.”2

Bruna Caroli
Professoressa in Economia, Psicologa, Mediatrice e Armonizzatrice familiare, Educatrice ai Valori Umani

1 Al riguardo si possono vedere gli articoli, sempre su SAI VIVERE, “Adolescenti e Tecnologia” 1^ e 2^ parte
2 Sri Sathya Sai, Educare - Valori Umani, Mother Sai Publications, novembre 2009, pag. 164

Redazione

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