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Alberi Sacri - Parte 4 - Quercia

Alberi Sacri - Parte 4 - Quercia

IL MONDO ARBOREO DELL’ANTICA ROMA

Tutti sanno che Roma venne fondata e si sviluppò su sette colli, ma ognuno di questi, che ora a fatica si distinguono nel tessuto urbano della capitale, era molto boscoso, e i nomi che i primi romani assegnarono ad ogni colle derivavano dalle piante che li coprivano.

Il Celio veniva chiamato Querquetulanus per la sua foresta di querce; il monte Oppio veniva detto Fagutalis, per i suoi faggi, e il Viminale era il colle dei giunchi (vimina). Gli allori dell’Aventino furono ricordati fino alla fine dell’Impero nelle strade dette Lauretum Maius e Lauretum Minus.

La valle fra l’Aventino e il Palatino sembra derivasse il suo appellativo di Murtia dal mirtillo che prosperava attorno al tabernacolo di Venere Murtea. La parte meridionale di Trastevere era detta campo Codetano dal suo Equisetum arvense (codeta) o coda cavallina, una pianta erbacea perenne dalle spiccate proprietà medicinali.

Man mano che la città cresceva, le foreste andavano sparendo, ma il loro ricordo era comunque conservato mantenendo vari gruppetti di alberi, tenuti in grande venerazione, cui venivano offerti sacrifici. Anche le vie consolari erano fiancheggiate, soprattutto nelle vicinanze dell'Urbe, da fitti "boschi sacri".

Le usanze del viandante romano, quando capitava in un bosco o in un luogo sacro, sono descritte da Apuleio: il viaggiatore formulava una preghiera, offriva doni agli alberi e sostava per un po’ di tempo. I contadini erano soliti decorare l’albero più bello del loro podere e lo dedicavano a un dio.

Pare che i boschi sacri dell’antica Roma fossero una cinquantina, e, alla fine dell’Impero ne esistevano ancora venti o venticinque.

Un esempio di bosco sacro che ancora sopravvive è costituito dal parco della Caffarella. Questo parco, posto  lungo il corso dell’Almone, affluente del Tevere, si trova tra la via Latina e la via Appia Antica, si estende dalle Mura Aureliane fino a via dell'Almone, ed, è ancor oggi, un'oasi dove sono concentrati straordinari valori paesistici, archeologici ed ecologici; i verdi prati, i monumenti, i casali, i boschetti e gli stagni sono distribuiti in un complesso unitario, inestimabile non solo per i cittadini che vi abitano nei pressi, ma per l'intera comunità nazionale e per gli studiosi di tutto il mondo. Di fronte alla chiesa di S. Urbano sono rimasti tre lecci (Quercus ilex) a testimoniare la presenza di un vasto bosco sacro dove, secondo la leggenda, Egeria, una divinità arcaica minore connessa con le acque sorgive e con il parto, si incontrava con il re Numa Pompilio e gli dava consigli di governo.

Una delle prime divinità adorate dagli abitanti dei sette colli fu Fauno, la cui voce e le cui profezie si diceva che si potessero udire solo nel silenzio dei boschi. Anche la sua sposa, Bona, era molto venerata.

Il protettore degli alberi e delle macchie, soprattutto di Pini e di Cipressi, era Silvano, che era chiamato anche Dendrophorus, il portatore di albero.
Il bosco sacro presso gli antichi romani era esso stesso una divinità: benevolo od ostile come gli Dei, era oggetto di culto e gli si riservavano sacrifici e offerte, preghiere, canti e danze.  Le sacerdotesse di Vesta traevano dai boschi di Roma i loro vaticini e anche le erbe medicinali con le quali curavano ogni tipo di malattia.

Il fico, l’albero più prolifico è il simbolo della fondazione di Roma, l’Alloro era dedicato ad Apollo, il Mirto e il Melo a Venere, l’Ontano a Nettuno, il Frassino a Marte, il Cipresso a Plutone, la Palma a Mercurio, il Pino a Pan, il Melograno a Giunone, il Pioppo a Ercole, il Faggio a Giove Ammone (versione latina dell’egizio Ra), l’Edera e la Vite a Bacco, l’Olivo a Minerva.

Ma il re degli alberi, quello più sacro di tutti, era la Quercia, simbolo di Giove, il padre degli Dei.


UN ALBERO AL GIORNO


QUERCIA - della famiglia delle querce, che conta moltissime varietà sparse in tutto l’emisfero boreale, in Italia troviamo soprattutto:
FARNIA – Quercus robur o q. pedunculata
ROVERE – Quercus petraea o q. sessiflora
ROVERELLA - Quercus pubescens
CERRO – Quercus cerris
LECCIO - Quercus ilex, sempreverde
Famiglia: Fagaceae


L’esemplarità della quercia è rappresentata soprattutto dalla Farnia.

Le farnie sono alberi dal portamento possente, maestoso ed insieme elegante. Quando sono isolate sviluppano una chioma espansa, molto ampia e di forma globosa e irregolare; nei boschi le chiome assumono un aspetto ovale allungato, il fusto è più affusolato e dritto. Raggiungono un'altezza che va dai 25 ai 40 m, eccezionalmente 50. Il fusto, assai robusto, alla base si allarga come per rafforzare la pianta; i rami con il passare del tempo divengono via via più massicci, nodosi e contorti.

La farnia è rinomata per la sua longevità. Alcuni esemplari tuttora viventi sembra superino i 1000 anni di vita. Una delle farnie più longeve d'Italia, con circa 500 anni d'età, si trova a Sterpo di Bertiolo in provincia di Udine, nel parco di Villa Colloredo.

La farnia è coltivata per il rimboschimento e per il pregiato legname, che ne costituisce il prodotto più importante. Il legno è pesante, di colore bruno chiaro, resistente, durevole, con fibre spesse, netta differenziazione tra alburno e durame, e viene impiegato per costruire mobili pregiati, parquet e botti per l'invecchiamento di liquori. Ha un ottimo potenziale calorico, anche se, come legna da ardere, è sprecata. In epoche passate la farnia era largamente utilizzata nelle costruzioni navali, specialmente nel Regno Unito, tanto da causare vasti disboscamenti.

La Farnia vive in terreni fertili, freschi e profondi, a differenza di altre varietà che si adattano a terreni più asciutti e sassosi.

Le foglie di tutte querce presentano una caratteristica comune: sono crenate, cioè i bordi hanno delle caratteristiche rientranze, che le rendono inconfondibili, benché le misure possano variare: la Roverella ha foglie piccole e pelose, le querce americane (var. Q. rubra o borealis e Q. coccinea) hanno foglie grandi e molto frastagliate. I frutti sono ghiande commestibili, più o meno tondeggianti.

Proprietà terapeutiche
L’alta concentrazione di tannino nel legno fa sì che venga utilizzato, fin dall’antichità, per la concia delle pelli. L’infuso è usato come astringente e contro la diarrea. Le ghiande sono eduli e vengono mangiate dagli animali, ma nei tempi di carestia anche gli uomini se ne cibavano, previa tostatura e macinatura in farina.

Come rimedio floreale, la quercia (Oak) è associata alla forza e alla costanza ed è indicata a chi abusa della sua forza di volontà, sviluppando in queste persone il valore dell’abbandono e della fiducia

Tradizione e simbologia
La quercia è considerata il re degli alberi ed è consacrata a Giove, nel mondo latino e a Zeus in quello greco. E’ molto presente come albero sacro anche presso i Druidi.

Ispirazioni
La quercia è l’albero più materno (o paterno), la sua forza ci protegge. La sua vitalità è altissima: si dice che impieghi trecento anni a crescere, altrettanti a morire. Ai suoi piedi entriamo in contatto con la nostra stessa forza interiore e con la nostra identità divina.

"Lungi dalla quercia tieni la tua scure: perché gli avi ci hanno tramandato che le querce erano i nostri primi parenti". (1)                                                                   

C’è chi nasce quercia e tale rimane, fino all’ultimo respiro. Perché questa è la natura delle persone umili, con gli occhi d’infinito ed il cuore frondoso e fresco, come un riparo. (2)


Olimpia Giovine
Agronomo e Formatrice                                                                                                    

 (1)    Zona di Sardi
 (2)    Carolina Turroni


                             



                        

Redazione

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