Le radici della sofferenza

Ci sono cinque tipi di ostacoli, che provocano dolore, sofferenza, afflizioni (klesha). Il primo è l'ignoranza (avidya); il secondo è l'imperizia (abhinava); il terzo è il piacere (asthita); il quarto è la passione per le cose del mondo (raga); il quinto è l'insoddisfazione rabbiosa (dvesha). A causa di questi cinque ostacoli, l'uomo si separa, allontanandosi dalla propria realtà spirituale (atmica), non riesce a sperimentare il la visione (darshan) dello Spirito, non può gustare le gioie dello spirito. (1)

La parola sanscrita Klesa significa dolore, afflizione, miseria, ma gradualmente ha assunto anche il significato di ciò che causa dolore.

Gli antichi saggi, ed in particolare Patanjali (2), nel secondo capitolo degli Yoga Sutra, hanno esplorato le cause della sofferenza umana ed hanno indicato i mezzi più idonei per dissolvere queste cause.

La mancanza di consapevolezza della realtà (avidya), il senso dell'egoismo, o senso dell'io-sono (asmita), le attrazioni e le repulsioni verso gli oggetti ed il forte attaccamento alla vita costituiscono le grandi afflizioni (kleśa) o cause di tutte le miserie della vita. (3)

La mancanza di consapevolezza della Realtà è la radice della sofferenza. Ma cosa significa esattamente?

L'avidya è prendere il non eterno, l'impuro, il male e il non-atman (non- spirito) per eterno, puro, buono e atman (spirito), rispettivamente; (4) cioè considerare eterno ciò che è transitorio, puro ciò che è impuro, bene ciò che è male e confondere il proprio spirito individuale con ciò che non lo è.

La non conoscenza (avidya), è l’identificazione della Coscienza con la materia. Questa identificazione diventa sempre più completa a mano a mano che la Coscienza si cala più profondamente nella materia e non raggiunge il punto di svolta per cominciare il cammino inverso. Il processo di disidentificazione comporta un progressivo rendersi conto della propria natura reale e si conclude con la realizzazione.

La seconda causa della sofferenza è l’identificazione della Coscienza con il veicolo attraverso cui si esprime (asmita).

L'asmita è l'identità o il fondersi insieme, per così dire, del potere della Coscienza (purusa) col potere della cognizione (buddhi). (5)

Il termine sanscrito asmita, deriva da asmi, io sono. Quando la Coscienza perde la consapevolezza della sua reale natura e non è più “io sono”, ma “io sono questo”, avviene l'identificazione della Coscienza col veicolo attraverso il quale si esprime, che può essere sia il veicolo sottile, sia quello più grossolano: il corpo fisico.

Nel momento in cui la Coscienza si identifica con i propri veicoli, decade dalla sua condizione pura e si trova legata dai limiti della non conoscenza. La perdita di consapevolezza e l'identificazione con i veicoli, sono due processi simultanei.

Quella attrazione, che accompagna il piacere, è il raga. (6)
Quella repulsione, che accompagna il dolore, è il dvesa. (7)

Normalmente siamo attratti da tutto ciò che ci dà una qualsiasi forma di piacere o di felicità e rifuggiamo da persone, situazioni, o cose che ci recano pena ed infelicità. Attrazione e repulsione sono due stati che costituiscono una coppia di opposti, ed è importante notare alcune cose:

• Le attrazioni e le repulsioni ci legano a innumerevoli persone e cose e condizionano così la nostra vita. Inconsciamente, o consciamente pensiamo, sentiamo ed operiamo secondo centinaia di tali forze prodotte da questi invisibili legami e ben poca è la libertà che resta all’individuo di agire, sentire e pensare liberamente.
• Tali attrazioni o repulsioni ci legano costringendoci ai livelli inferiori della Coscienza, perché solo a tali livelli possono operare.
• Le repulsioni ci legano tanto quanto le attrazioni. Siamo legati a ciò che odiamo, in modo forse ancora più saldo che a ciò che amiamo.

Se impariamo a riflettere sulla vita, avremo chiaro che le due coppie di opposti sono le principali responsabili del dolore.

L'abhinivesa è il forte desiderio di vivere, radicato nella propria stessa energia, che domina anche il saggio. (8)

L’ultimo frutto della non conoscenza è il desiderio, la volontà di vivere e, di conseguenza, la paura della morte. L’universalità di questo attaccamento, mostra che esiste una forza costante nell’universo, che trova espressione in questo desiderio di vivere. Questa forza è radicata nell’origine stessa delle cose ed entra in gioco nel momento in cui la Coscienza viene a contatto con la materia ed inizia il ciclo evolutivo.

Come la non conoscenza è la radice della sofferenza, il forte desiderio di vivere ne è il frutto, o l’espressione finale della catena di causa effetto, che inizia con la manifestazione. E se l'unione tra Coscienza e materialità conduce alla miseria e alle sofferenze dell'esistenza, ne consegue che la rimozione di queste ultime è possibile solo quando questa unione venga dissolta attraverso la consapevolezza della Realtà. Allora la schiavitù dell'identificazione della Coscienza con i suoi veicoli si infrange ed avviene la Liberazione.

Quando Gesù raggiunse lo stadio “Mio Padre ed Io siamo uno”, non ebbe più alcuna sofferenza. Egli era sempre pieno di beatitudine e preparato ad ogni evenienza. Anche durante la crocifissione, Gesù rimase sorridente perché sapeva di non essere il corpo; il corpo deve morire ma l’abitante interiore non ha nascita né morte. In verità, l’abitante interiore è Dio stesso. Gesù comprese che il corpo è soltanto un abito e che Lui era l’abitante. (9)

Carla Gabbani Insegnante di Yoga e Formatrice

1. Sathya Sai, Discorso 4 Marzo 2000
2. Patanjali II secolo a. C. Filosofo indiano, padre dello Yoga e autore degli Yoga Sutra
3. Yoga Sutra II-3
4. Yoga Sutra II,5
5. Yoga Sutra II,6
6. Yoga Sutra II,7
7. Yoga Sutra II,8
8. Yoga Sutra II,9
9. Sathya Sai, estratto dai Discorsi pronunciati in occasione del Natale. Dal Sanathana Sarathi Dicembre 2016.

Carla Gabbani

Educatrice

Sito web: www.saivivere.it